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Viaggio nel mondo dei pay driver

Viaggio nel mondo dei pay driver
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L’universo dei piloti paganti è estremamente sfaccettato e molto più ampio di quanto si possa immaginare. Lungi da noi generalizzare o entrare nella retorica però cerchiamo di distinguere, a grandi linee, i vari paganti.

Si considerano “pay driver” i piloti che per competere hanno bisogno d’investire risorse finanziarie proprie e/o di loro sponsor. Si va dai 10 mila euro per un trofeo amatoriale ai 2 milioni di euro per un campionato di Formula 2.

Praticamente tutti i piloti, sia di auto che di moto, almeno agli inizi sono stati dei piloti paganti. Ci sono però tantissime tipologie di paganti.  

Ci sono i figli di papà che gareggiano quasi per sfizio. Poco impegno e tanta saccenteria. Si considerano dei fenomeni, dei geni incompresi e se non ottengono i risultati è sempre colpa di altri. Spesso riescono a fare carriera perché con i soldi non ci compra il talento ma si comprano soluzioni tecnologiche all’avanguardia, si pagano i migliori tecnici e talvolta di acquistano perfino i team. Un mezzo ultra performante, si sa, riesce a supplire quasi sempre le carenze del pilota.

Non diventano quasi mai dei grandi campioni e non solo per una questione di talento. Hanno avuto tutto nella vita e non sanno sacrificarsi, difficilmente sono disposti ad allenamenti estenuanti o regimi alimentari restrittivi. Sia chiaro, non sono tutti così. Tra di loro ci sono anche piloti molto intelligenti, veloci e che s’impegnano.

Ci sono poi i casi umani, i piloti che pur di gareggiare portano le loro famiglie sul lastrico. La colpa, in realtà, è più dei loro genitori che dei ragazzi. I papà sono convinti di avere in casa un fuoriclasse e vendono tutti i loro averi pur di farlo gareggiare. I piloti subiscono pressioni tremende. Se il ragazzo non sfonda è un dramma per il pilota e tutta la sua famiglia. Se il pilota riesce ad andare avanti può diventare un grande campione perché le difficoltà ne hanno temprato il carattere.

Ci sono poi i piloti con i sogni di riserva. Sono quelli provano a gareggiare per qualche anno, senza investimenti folli, poi se non sfondano trovano altre passioni e smettono serenamente.

Dulcis in fundo ci sono i Talenti con la T maiuscola. Piloti umili, super appassionati, che sono disposti a fare qualsiasi sacrificio pur di riuscire a gareggiare. Questi ragazzi, fin da giovani, vanno a caccia di sponsor assieme ai loro genitori. Spesso studiano e/o lavorano. I team li adorano perché s’impegnano e se c’è da pulire il box non si tirano indietro. La loro passione è contagiosa ed una volta che iniziano a gareggiare di solito vanno avanti perché trovano chi li aiuta.

Diventano poi i testimonial perfetti perché se un’azienda investe in loro ha un ritorno assicurato. Loro sono pronti a partecipare a qualsiasi iniziativa, sono disponibili con tifosi e giornalisti. Se gareggiano in moto sono destinati a diventare grandi campioni.  Se invece sono piloti di auto è più difficile perché servono cifre astronomiche ed è tutto più complesso. Oggi è quasi impossibile approdare alla Formula 1 se si è figli di operai.

Marianna Giannoni